Notule
(A cura di
LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 26 gennaio 2019.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]
Una scoperta relativa al DHA
cerebrale che protegge dalla neurodegenerazione. Le malattie neurodegenerative sono
fra le principali cause di patologia e morte dell’età avanzata, ossia del
segmento di popolazione che cresce più rapidamente nei paesi più sviluppati. È
noto che un elevato apporto dietetico di DHA, un acido grasso omega-3
abbondante nel cervello, riduce significativamente il rischio di
neurodegenerazione; ma, finora, era rimasto ignoto il meccanismo che consente
ai neuroni cerebrali di arricchirsi di questa molecola. Regina Fernandez e
colleghi hanno scoperto che l’enzima Acil-Coenzima A sintetasi 6 (Acil-CoA
sintetasi 6) è essenziale per l’abbondante produzione del DHA nel cervello. [Cfr. PNAS 115 (49): 12525-12530, Dec. 4,
2018].
La scoperta dell’antagonismo doppio
della naldemedina efficace contro effetti collaterali degli analgesici oppioidi. Inagaki e colleghi, studiando i
rapporti fra struttura e attività di vari derivati morfinani per ottenere
antagonisti doppi dei recettori μ e δ, hanno scoperto una classe di
composti che si caratterizza come un nuovo chemotipo, con l’impalcatura
molecolare dei morfinani, la proprietà farmacodinamica dell’antagonismo doppio
μ/δ ristretta alla periferia, l’utilizzabilità per via orale e un
minimo attraversamento della barriera ematoencefalica (BEE). I ricercatori
hanno selezionato alcuni di questi composti in grado di inibire la costipazione
e il vomito indotti da oppioidi, senza interferire con le azioni analgesiche
della morfina. Fra queste molecole è stata prescelta come farmaco medicamento
la naldemedina (naldemedine),
correntemente considerata un inibitore periferico-selettivo dei recettori
oppioidi μ. La naldemedine (C32
H34N4O6), come Symproic, era stata approvata
dalla FDA nel 2017 per il trattamento della costipazione indotta da oppioidi. [Inagaki M., et al., Discovery of
naldemedina: A potent and orally available opioid receptor antagonist for treatment
of opioid-induced adverse effects. Bioorg Med Chem Lett. 29 (1): 73-77, 2019].
Un nuovo bersaglio per la terapia
dei gliomi. TROY è un costituente del complesso del recettore Nogo ed ha un ruolo
fondamentale nei processi di sopravvivenza, migrazione e differenziazione
neuronica. Liu e colleghi hanno dimostrato, in
tessuti e cellule di glioma umano, l’aumentata espressione di TROY. In vivo e in vitro, l’inibizione dell’espressione di TROY rallentava lo
sviluppo del glioma. L’inibitore della Raf chinasi (RKIP) interagisce con TROY: con saggi di
immunoprecipitazione è stata confermata l’interazione fisica TROY/RKIP. La
sperimentazione ha dimostrato che la rottura dell’interazione TROY/RKIP
mediante la proteina TAT-TROY riduce lo sviluppo del tumore, suggerendo un
nuovo potenziale bersaglio per la terapia di questi gravi tumori gliali. [Liu X., et al. Oncogene AOP – doi: 10.1038/s41388-018-0503-x, 2018].
L’importanza delle preferenze
personali, ovvero la codifica del valore soggettivo. Le decisioni basate sulle
preferenze sono essenziali per la sopravvivenza, come è evidente se pensiamo a
ciò che si sceglie di mangiare o di non mangiare. Nonostante questa importanza
in chiave evoluzionistica, le decisioni basate sulle preferenze individuali non
presentano standard omogenei come ci si attenderebbe per comportamenti
affermatisi in chiave adattativa, ma sono straordinariamente variabili,
talvolta apparendo irrazionali, secondo modi che hanno sfidato le spiegazioni
meccanicistiche. Rafael Polanìa e colleghi propongono un’interpretazione della
natura di questo arbitrio individuale: le valutazioni soggettive deriverebbero
da un processo di inferenza che tiene
conto della struttura dei valori nell’ambiente e che massimizza l’informazione
nelle rappresentazioni del valore, in linea con le richieste imposte da
limitate risorse di codificazione. Un modello di questo processo di inferenza
spiega la variabilità in entrambi gli aspetti, ossia nei rilievi di valore
soggettivo e nelle scelte basate sulla preferenza, e consente di prevedere una
nuova illusione di preferenza che i ricercatori supportano con dati empirici.
Appare di notevole interesse, che lo stesso modello spieghi il livello di
fedeltà associato a questi rilievi.
Il modello di Polanìa e colleghi implica che le decisioni basate sulla
preferenza riflettono la trasmissione di informazione massimizzata e la
decodifica statisticamente ottimale dei valori soggettivi da un sistema di
capacità limitata. Questi risultati forniscono un resoconto unificato di come
gli esseri umani percepiscono e valutano l’ambiente per guidare il
comportamento in modo ottimale. [Polanìa R.,
et al. Nature Neuroscience 22, 134-142, 2019].
Nell’alcolismo ADPN è un nuovo
potenziale biomarker e regolatore
negativo del consumo di etanolo. Le modificazioni di adattamento del sistema a
ricompensa cerebrale, indotte dall’eccessiva assunzione di alcool, portano ad
un incremento esponenziale della dose di etanolo bevuta e al fenotipo clinico
del disturbo da abuso alcolico. La proteina ADNP (activity-dependent neuroprotective protein), cruciale per lo
sviluppo cerebrale, nell’età adulta è implicata nella plasticità neuronale. Ziv
e colleghi hanno scoperto che l’esposizione all’etanolo regola nel sistema
mesolimbico l’espressione di Adnp, e che questa proteina determina moderazione
nel consumo di alcool, secondo un profilo caratteristico per i due sessi. I
ricercatori hanno poi analizzato il ruolo di regolazione di Adnp nel consumo di
alcool, usando il modello murino Adnp aploinsufficiente, ed hanno rilevato che
le femmine presentavano un più elevato consumo e una più marcata preferenza per
l’etanolo, rispetto alla femmine a genotipo normale, mentre per i maschi non si
riscontravano differenze genotipiche. Numerose altre prove sperimentali, oltre
queste, suggeriscono che ADNP sia un potenziale nuovo biomarker e regolatore negativo dei comportamenti finalizzati
all’assunzione di alcool etilico. [Cfr.
Ziv. Y., et al., Neuropsychopharmacology 44 (2): 415-424, Jan. 2019].
Alterazioni precoci del fluido cerebrospinale
nei disturbi dello spettro dell’autismo (ASD). I risultati di studi recenti hanno
riacceso l’interesse per le numerose funzioni del fluido cerebro-spinale (CSF).
Ad esempio, è stato dimostrato che alterazioni del flusso del CSF compromettono
il ricambio di peptidi infiammatori che intervengono nella patogenesi di
malattie neurodegenerative, come le molecole β-amiloidi. Inoltre, dopo la
recente scoperta del sistema linfatico del cervello, si è sviluppata una nuova
area di ricerca neuroscientifica clinica sui ruoli fisiologici svolti dal CSF
quale tramite speciale fra sistema immunitario e sistema nervoso.
Recenti studi hanno rilevato che le anomalie del CSF nei disturbi dello
spettro dell’autismo (ASD) sono presenti già nei lattanti; sono rilevabili
mediante la convenzionale MRI strutturale e possono servire quali indicatori
precoci di un’alterazione neuroevolutiva. Pertanto, tali anomalie del CSF,
identificate precocemente, costituiscono dei potenziali biomarker per la distinzione diagnostica dei bambini affetti da ASD
in sottotipi biologici con fisiopatologia comune. Su tale base, si potrebbe
giungere a trattamenti fondati su una precisa base neurobiologica. [Shen M. D., J Neurodev Disord. 10 (1): 39,
Dec. 13, 2018].
La terapia cognitiva migliora la
fisiologia sessuale nel disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Il PTSD, sviluppato per effetto di
un’esperienza traumatica, è quasi costantemente associato ad una disfunzione
sessuale che, nelle donne, è più frequente, più grave e ha un maggiore impatto
sulla qualità della vita. Per tale ragione, Wells e colleghi hanno studiato su
126 donne affette da PTSD, sia ex-militari che civili, l’effetto del
trattamento mediante psicoterapia cognitiva (Cognitive Processing Therapy, CPT) sulla sfera sessuale. I
risultati dello studio dimostrano che, parallelamente alla riduzione dei
sintomi del disturbo psichico, la terapia determinava un miglioramento di
parametri quali desiderio, eccitazione e soddisfazione sessuale. [Wells S. Y., et al. Women’s Health
Issues 29 (1): 72-79, Jan – Feb. 2019].
La volontà quale strumento dell’autodeterminazione,
dalle intuizioni di Seneca alla conoscenza neuroscientifica. In una realtà in cui la rete “multiversa”
di scambi comunicativi è la regola, è sempre difficile rintracciare l’origine
di atteggiamenti mentali e orientamenti diffusi che si affermano nelle società
contemporanee. Ci sembra, tuttavia, per l’indebolimento della concezione del
potere di autodeterminazione dell’uomo, legato alla responsabilità individuale
derivata dalla soggettività cosciente, di poter individuare l’origine di due contributi,
il cui peso assoluto e relativo, non sappiamo stimare.
Il primo avrebbe avuto origine dove la psicoanalisi – come è accaduto in
Francia negli ultimi decenni del Novecento – è diventata un’antropologia:
alcune correnti di pensiero hanno sviluppato, su un malinteso senso
dell’inconscio quale dimensione in grado di condizionare l’Io in maniera
assoluta e inevitabile, la convinzione che la chiave dell’agire umano risieda
nei processi psichici profondi, e che l’attività cosciente sia prevalentemente relegata
alla costruzione di giustificazioni razionali e plausibili di quanto in realtà
sarebbe già stato determinato dalle spinte pulsionali dell’Es e, in parte,
dalle esigenze superegoiche.
Il secondo avrebbe avuto origine presso quella parte della comunità
scientifica, bene rappresentata negli USA, che ha abbracciato la tesi del
determinismo biologico: le decisioni esistenziali e morali sarebbero nella
sostanza, e in prevalenza, una diretta conseguenza della genetica o, al
massimo, di modulazioni epigenetiche indotte dall’esperienza.
Appare evidente che queste due visioni, distinte e teoreticamente distanti,
risultino convergenti nell’espropriare l’Io cosciente dal ruolo di protagonista
e responsabile di un agire coerente con la concezione dell’uomo e del mondo di
ciascuno.
Proprio alla luce di questo aspetto della “crisi contemporanea del
soggetto” il coraggioso ritorno ad una centralità della coscienza e ad un ruolo
di primo piano della volontà, prendendo le mosse da Seneca nel nostro seminario
sull’Arte del Vivere, suona come una sfida al comodo conformismo con il
pensiero dominante che acriticamente eredita le macerie del soggetto del
Novecento.
L’esercitazione è stata svolta adottando quale presupposto l’esistenza del libero arbitrio, e considerando la capacità di autodeterminazione come una
potenziale risorsa psicoadattativa.
Questa tesi, che consente paralleli e accostamenti fra il pensiero filosofico
di Seneca e la nostra concezione di una coscienza
attiva ed efficace – per dirla con Edelman – nel contribuire a determinare
il comportamento del soggetto, trae origine dal un incontro di studio tenuto
nel 2006: La volontà, dalla Stoa alle neuroscienze” (Cfr. Note e Notizie 15-04-06 La Volontà: da Seneca alle Neuroscienze).
I contenuti di quell’incontro sono stati impiegati come indice tematico per il lavoro
attuale.
Prendendo le mosse dall’analisi della facoltà che consente all’uomo di
esprimere una determinazione coerente con i propri scopi e principi, anche se
talora in contrasto con le spinte istintuali, il filosofo di Cordova giunge a
compiere osservazioni interessanti sulla natura stessa della volontà. Velle non discitur: la volontà non si
impara, affermava Seneca, il quale impiegava talvolta il termine voluntas con un significato vicino a
quello che le moderne neuroscienze attribuiscono alle sue componenti
costitutive non coscienti. In questa concezione la volontà non si identifica
con l’intenzionalità cosciente che la esprime, ma con un processo più profondo del
quale non sembra esservi traccia nella consapevolezza esecutiva: “Nessuno può
dire quale sia l’origine della sua volontà” (Seneca, Epist., 37, 5).
La riflessione, sviluppata più di dodici anni fa, aveva preso le mosse dal
confronto fra le tesi contrapposte di due
noti studiosi, ossia Pohlenz e Grimal, dimostrando la fondatezza delle
argomentazioni del primo, che riconosce originalità alla concezione della volontà
di Seneca rispetto a quella dell’antica Stoa. Tuttavia, dall’acuta descrizione
che Grimal propone del pensiero stoico si è estratto un passo che consente un
suggestivo accostamento con la prospettiva neuroscientifica attuale:
“…l’esistenza di un moto istintivo dell’anima, uno slancio (impetus, hormé),
che non è, in sé stesso, razionale, ma che è una manifestazione primaria
dell’essere. Lo studio di questo slancio originario costituisce per gli stoici
una delle parti principali della filosofia morale, e il compito della ragione è
di agire su questo slancio, irrazionale in sé, per trasformarlo in volontà
cosciente, aggiungendogli il consenso (adsensio)” (P. Grimal, Seneca,
p. 16, Garzanti, Milano 1992).
I processi cerebrali che sostengono la
propensione ad agire, cioè la motivazione,
e la spinta all’azione, ossia la conazione,
possono accostarsi all’hormé dell’antica Stoa e di Seneca.
Giovanni Reale osserva che nella vecchia Stoa non
c’è traccia di una volontà intesa come facoltà determinante e distinta
dalla ragione e, sebbene questa scuola riconosca all’origine dell’azione una disposizione
d’animo, riconduce, poi, questa disposizione alla conoscenza,
secondo la più diffusa concezione intellettualistica dell’epoca. Lucio Anneo
Seneca rompe lo schema dell’intellettualismo ellenico proprio introducendo il
concetto di voluntas.
“Il termine latino voluntas non ha nella
lingua greca un corrispettivo che ricopra la stessa area concettuale, ma
esprime un’esperienza etica nuova e di differente calibratura” (G. Reale, La
filosofia di Seneca come terapia dei mali dell’anima, p. 143, Bompiani,
Milano 2004).
L’originalità del concetto di volontà in Seneca e
la continuità con il pensiero degli antichi stoici sono bene illustrate da
Giovanni Reale, ma già studiate in passato da Max Pohlenz, dal quale è stato
tratto un altro spunto interessante: “Seneca, come non l’ha fatto per la
coscienza, non inserisce la volontà in un sistema psicologico” (si veda: Max
Pohlenz, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, 2 voll., La Nuova
Italia, Firenze 1967, alle pagine 89-90 del secondo volume e, in particolare,
la nota 56 di pagina 90).
L’hormé in una prospettiva neurobiologica
e l’inserimento della volontà in un sistema psicologico sono stati i due temi
più discussi.
Notule
BM&L-26 gennaio 2019
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